Che cos’è l’ansia ?
Il termine ansia deriva dal latino anxius che significa affanoso, inquieto che a sua volta proviene dal verbo latino ango che significa stringere, soffocare.
L’ansia è un reazione innata, primitiva, automatica che si è evoluta con lo scopo specifico di proteggere l’uomo dai pericoli garantendone la sopravvivenza.
Prova ad immaginarti questa situazione: stai camminando lungo un sentiero e all’improvviso ti trovi di fronte ad una vipera.
In quel esatto istante, li tuo cervello ha percepito il pericolo e ha attivato il tuo corpo a produrre un ormone molto importante che prende il nome di adrenalina il cui compito è quello di predisporre l’organismo a far fronte alla minaccia.
Una volta rilasciata, l’adrenalina innesca una serie di modificazioni a livello fisiologico che produce specifiche sensazioni fisiche e mentali che definiamo con il termine ansia.
Le più comuni sono ad esempio:
Cambiamento fisiologico prodotto dall’adrenalina | Sensazione fisica corrispondente |
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Il respiro si fa più frequente e le narici e i polmoni si espandono, aumenta la quantità di ossigeno disponibile per i muscoli | Sensazione di respiro affannoso, mancanza d’aria, bisogno di sospirare, senso di costrizione al petto, sensazione di “testa leggera |
Il ritmo cardiaco e la pressione sanguigna aumentano con l’obiettivo di portare maggiore ossigeno ai muscoli | Palpitazioni, tachicardia, vampate di caldo, formicolio o sensazione di punture di spilli a mani e piedi e al viso |
Il sangue viene dirottato ai muscoli soprattutto a quelli delle gambe per cui si ha un minor afflusso sanguigno agli organi interni e alla faccia che spiega l’espressione “sbiancare in volto” per la paura | Brividi di freddo, pallore in volto, sentirsi accaldati |
La mente si concentra sul pericolo e ignora il resto | Difficoltà di concentrazione e attenzione, difficoltà a memorizzare o a ricordare (comune è l’espressione “avere la testa nel pallone”) |
Si comincia a sudare per ridurre l’eccessivo riscaldamento dovuto al maggiore apporto di sangue ai muscoli | Sudorazione abbondante |
La digestione si ferma; la bocca si fa secca e produce meno saliva; il cibo si ferma nello stomaco | Sensazione di nausea o di “nodo allo stomaco”, bocca secca, gonfiore alla pancia; |
(Tabella tratta dal libro “Ipocondria, ansia per le malattie e disturbo da sintomi somatici” 2017 di Leveni, Lussetti, Piacentini)
Questa attivazione dell’organismo di fronte al pericolo prende il nome di risposta di attacco (affronto la minaccia) o fuga (mi allontano dal pericolo) consentendo a essere pronti alla lotta o garantendo le energie necessarie per scappare dalla minaccia.
Inoltre gli studi hanno dimostrato che una certa quota di ansia è utile per svolgere alcune attività che richiedono concentrazione, attenzione e impegno. Ad esempio se dobbiamo sostenere un esame all’università o un colloquio di lavoro è assolutamente normale e funzionale vivere un certo livello di ansia; le evidenze scientifiche ci hanno insegnato che chi è del tutto tranquillo e rilassato durante un importante prestazione non riesce a dare il meglio di sé.
Questa risposta di attacco o fuga, che costituisce uno dei più arcaici meccanismi di difesa di cui l’evoluzione ha dotato tutti gli animali compreso l’essere umano, era utile all’uomo primitivo che si trovava ad affrontare costantemente pericoli fisici reali (es. essere attaccati da un animale feroce) che mettevano a rischio la vita.
Questa reazione diventa però un problema quando la risposta di attacco o fuga si attiva troppo frequentemente e intensamente di fronte a stimoli o situazioni in cui non vi è una reale pericolo che minaccia la vita dell’individuo (es. fare la fila alla posta, tenere un discorso davanti a delle persone, litigare con il capoufficio), cosa che avviene nella maggior parte delle situazioni che vive attualmente l’uomo moderno.
È quindi possibile parlare di Disturbo d’ansia quando la risposta di attacco o fuga si innesca in modo eccessivo, sproporzionato rispetto alla situazione compromettendo la qualità di vita della persona in riferimento a molte aree come quella lavorativa, sociale, famigliare e più in generale del benessere fisico e mentale portando ad un costante stato di apprensione e minaccia immotivata.
Tra i più comuni disturbi d’ansia troviamo ad esempio:
- Disturbo di panico;
- Agorafobia;
- Disturbo d’ansia generalizzato;
- Disturbo d’ansia sociale (fobia sociale);
- Ipocondria (ansia per le malattie e disturbo da sintomi somatici);
- Fobia specifica (per animali, oggetti, situazioni).
Attacchi di Panico e Disturbo di Panico
All’improvviso ho sentito la testa che mi girava, il cuore ha cominciato a battermi fortissimo! Non capivo quello che stava succedendo so solo che in quel momento ho pensato: “ecco è finita! Sto per morire!”.
L’attacco di panico consiste in un episodio di ansia molto intensa che raggiunge il suo picco massimo in pochi minuti (circa 10) durante il quale si presentano quattro o più dei seguenti sintomi sia fisici che mentali:
- Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia
- Sudorazione
- Tremori fini o grandi scosse
- Dispnea o sensazione di soffocamento
- Mancanza d’aria
- Dolore o fastidio al petto
- Nausea o disturbi addominali
- Sensazione di vertigine, d’instabilità, di “testa leggera” o di svenimento
- Brividi o vampate di calore
- Parestesie (sensazione di torpore o di formicolio)
- Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (sentirsi distaccati da se stessi)
- Paura di perdere il controllo o d’impazzire
- Paura di morire
Solitamente accade che dopo il primo o primissimi episodi di attacco di panico, si osserva nella persona la paura di vivere altri attacchi associata al timore delle conseguenze legate all’episodio (ad esempio la paura di impazzire, di morire, di avere un attacco di cuore), tanto da indurre una sorta di “paura della paura”, la cosiddetta “ansia anticipatoria” che consiste nel vivere in uno stato costante di allarme.
Nel tentativo di fronteggiare l’ansia la persona inizia ad evitare tutta una serie di situazioni in cui si potrebbe ripresentare l’attacco di panico, ad esempio inizia ad evitare tutti quei luoghi in cui l’attacco di panico si è manifestato, oppure situazioni in cui risulta difficile allontanarsi o richiedere aiuto nel caso in cui ci senta male.
Tra i comportamenti di evitamento più comuni abbiamo:
-evitare di frequentare luoghi chiusi (es. cinema, teatri);
-non usare l’automobile, il treno, la metropolitana;
-non allontanarsi da luoghi valutati come sicuri (es. la propria abitazione);
-evitare di fare sforzi fisici;
Accanto a questi si osserva la presenza di comportamenti protettivi che vengono messi in atto con l’idea che ci proteggeranno nel caso in cui si dovesse nuovamente ripresentare l’attacco di panico.
I comportamenti protettivi più comuni sono:
- Uscire di casa solo se accompagnati da persone di fiducia;
- Uscire di casa portando con sé farmaci per l’ansia;
- Verificare, se nel luogo in cui ci si reca vi sono, nelle immediate vicinanze, strutture mediche (es. ospedale);
- Verificare e tenere sotto controllo le uscite di sicurezza.
Questi comportamenti nell’immediato possono dare sicurezza e sollievo perché riducono l’ansia portando a credere che queste azioni siano realmente efficaci per far fronte al problema ma in realtà nel corso del tempo lo mantengono e lo aggravano in due modi:
- portano il paziente a pensare in modo sbagliato che il fatto che non si sia verificato l’attacco di panico dipenda dalla messa in atto di questi comportamenti di difesa;
- questi comportamenti spesso producono un effetto boomerang ovvero possono peggiorare i sintomi fisici e mentali da cui la persona tenta in tutti i modi di difendersi rendendo ancora più probabile l’attacco di panico.
Gli attacchi di panico possono essere classificati anche sulla base delle condizioni in cui si verificano, tra questi troviamo:
- Gli attacchi di panico attesi o situazionali sono quelli in cui la persona riesce ad identificare l’elemento che lo ha scatenato; solitamente questi attacchi si manifestano nelle situazioni o luoghi che la persona teme di più e nelle quali ha già sperimentato l’attacco d panico.
- Gli attacchi di panico inaspettati invece la persona prova paura senza riuscire a trovare una possibile causa dell’attacco.
La diagnosi di Disturbo di panico si ha quando la persona sperimenta una condizione caratterizzata da frequenti e inaspettati attacchi di panico associati ad uno o entrambi le seguenti condizioni per almeno un mese:
- Persistente preoccupazione per l’insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze (es. paura di morire);
- Cambiamenti dei comportamenti dovuti agli attacchi (es. la messa in atto di comportamenti di evitamento).
Si tratta di un disturbo d’ansia molto comune. Ne soffre tra il 2-3% della popolazione mondiale. Colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini (rapporto di 2:1).
L’età media di insorgenza è tra i 20 e i 24 anni. Se non trattato diventa cronico, con oscillazioni della sintomatologia.
Le ricerche scientifiche in questo ambito sottolineano in modo chiaro come vi sono diversi fattori e non un’unica causa che contribuisce allo sviluppo del disturbo di panico:
- Essere esposti a situazioni stressanti di natura fisica (ad esempio la presenza di malattie, disturbi del sonno) sia di natura psicologica (importanti cambiamenti del proprio ciclo di vita come la nascita di un figlio, una separazione, cambiamenti lavorativi, problemi finanziari, lutti);
- Iperventilazione: ovvero una forma di respirazione più profonda e frequente che crea un disequilibrio tra la quantità di ossigeno (eccessiva) e anidride carbonica (insufficiente) nel sangue.
Una delle dirette conseguenze prodotte dall’iperventilazione è la presenza dei seguenti sintomi: testa leggera, senso di mancanza d’aria, senso di stordimento, stato mentale di confusione,
tachicardia, mani sudate, bocca secca. Uno dei sintomi più angoscianti prodotti dall’iperventilazione è rappresentato dalla mancanza d’aria. Di fronte a questa condizione spesso la persona cerca di respirare ancora più velocemente ricercando aria ma questo non fa altro che peggiorare la situazione portando alla comparsa di nuovi sintomi come nausea, vertigine, sensazione di costrizione al petto.
- Predisposizione genetica e una certa famigliarità per il disturbo (studi dimostrano come tra i consanguinei di primo grado si trasmetterebbe una modalità di risposta ansiosa agli stimoli).
- Predisposizione biologica e psicologica (attitudine psicologica di alcune persone ad interpretare alcuni segnali provenienti dal corpo come pericolosi per la propria salute fisica e mentale).
Le immediate conseguenze di chi soffre di questo disturbo riguardano le gravi compromissioni in termini di qualità di vita della persona. Si assiste ad un grave peggioramento del funzionamento sociale, lavorativo e famigliare/affettivo, del benessere fisico e mentale della persona.
Si osserva nel breve termine, una progressiva riduzione dei livelli di autonomia mentre a lungo andare vi è una diminuzione dei livelli di autostima, del senso di efficacia personale e di stima di sé che possono portare alla comparsa di sentimenti di tristezza fino alla vera e propria depressione.
Nel tentativo di controllare i sintomi spesso accade che vi sia un abuso di alcool e droghe che aggravano ulteriormente il problema.
Dati di ricerca ci dicono che le persone con disturbo di panico presentano:
- Riduzione delle capacità professionali: 80%
- Perdita del lavoro: 25%
- Difficolta nel guidare la macchina: 50%
- Depressione secondaria: 60%
La terapia cognitiva comportamentale rappresenta il trattamento d’elezione per la cura dei disturbi d’ansia.
Gli studi condotti hanno evidenziato una riduzione tra il 75 e il 95% nella frequenza degli attacchi di panico al termine della terapia, con un mantenimento dei risultati fino a due anni dopo.
Secondo il modello di comprensione e spiegazione del disturbo durante l’episodio, la persona interpreta uno stimolo interno (es. la tachicardia, pensieri confusi, sensazione di svenimento) o esterno (es. code nel traffico, luoghi chiusi) come il segnale di un imminente catastrofe; questa interpretazione porta la persona a spaventarsi, innescando l’ansia e i relativi sintomi mentali e fisici.
Se poi questi sintomi vengono a loro volta interpretati dalla persona in modo catastrofico ecco che i livelli d’ansia crescono ulteriormente dando vita ad un vero e proprio circolo vizioso che culmina con l’attacco di panico.
Da quel momento in poi la persona tenderà a mettere in atto i cosiddetti comportamenti protettivi e di evitamento che vengono visti dalla persona come dei tentativi di soluzione ma che in realtà non fanno altro che aggravare e mantenere il disturbo.
Le fasi della terapia cognitivo-comportamentale prevedono:
- Psicoeducazione sul disturbo (si forniscono informazioni sulla natura dell’ansia, del panico, sulle sue cause e conseguenze);
- Ricostruzione del circolo vizioso del panico;
- Insegnamento di tecniche (es. respirazione lenta, rilassamento muscolare progressivo) per la gestione dei sintomi collegati all’ansia;
- Individuazione e modificazione dei pensieri catastrofici connessi all’attacco di panico;
- Esposizione alle sensazioni e agli stimoli temuti;
- Prevenzione delle ricadute.
Bibliografia
-Carmelo La Mela “I protocolli clinici della terapia cognitivo-comportametale”
-Enrico Rolla “Attacchi di panico. Come uscirne. La potenza della terapia cognitivo-comportamentale”
-Adrian Wells “Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia”
-Andreaws, Creamer, Crino, Hunt, Lampe, Page “Disturbo di Panico e Agorafobia-Manuale per chi soffre del disturbo”
–www.terzocentro.it
-Francesco Mancini, Claudia Perdighe “Elementi di Psicoterapia Cognitiva”
Agorafobia
L’agorafobia si caratterizza per la presenza di una marcata paura o ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi o potrebbe non essere disponibile un aiuto nel caso in cui si presentino i sintomi ansiosi.
Sono diverse le situazioni in cui si possono manifestare i sintomi di questo disturbo come ad esempio:
- Trovarsi in situazioni all’aperto (es. parcheggi, piazze, mercati)
- Trovarsi in luoghi al chiuso (es. cinema, ascensori, teatri, negozi)
- Trovarsi in mezzo alla folla
- Utilizzare i mezzi pubblici (es. metropolitana, aereo, autobus, treni)
- Uscire da soli
In tutte queste situazioni l’agorafobico si percepisce debole, fragile, in pericolo, bisognoso dell’aiuto degli altri in quanto sente di non essere in grado di farcela da solo.
Attualmente l’agorafobia può essere diagnosticata indipendentemente dalla presenza del Disturbo di Panico, in quanto è diventato categoria diagnostica a sé stante.
In questo specifico caso la persona sperimenta una crisi d’ansia simile al panico ma che non soddisfa tutti i criteri per un vero e proprio attacco di panico.
Se invece la sintomatologia soddisfa i criteri sia per il disturbo di panico sia per l’agorafobia, allora vengono definite entrambe le diagnosi.
Le situazioni temute dall’agorafobico vengono evitate o vengono affrontate molto spesso con la presenza di altre persone ritenute rassicuranti o comunque vissute con grande paura o disagio.
Questi comportamenti di evitamento in realtà non fanno altro che mantenere ed aggravare il disturbo.
L’età media d’insorgenza del disturbo si attesta tra i 20 e i 25 anni. Se non trattato tende a cronicizzare con importanti ripercussioni sulla vita della persona.
Il disturbo comporta delle gravi conseguenze in termini di qualità di vita in riferimento al funzionamento di diverse aree come il lavoro, la famiglia, l’ambito sociale; ad esempio la persona non è più in grado di portare i figli a scuola o di recarsi al lavoro in macchina.
Cura e Trattamento
Lo scopo del trattamento cognitivo-comportamentale è quello di ridurre progressivamente gli evitamenti messi in atto dalla persona.
La tecnica comportamentale più efficace consiste nell’esposizione controllata, graduale ma sistematica alle situazioni temute con l’obiettivo di aiutare il paziente a gestire e a ridurre l’ansia e il disagio sperimentato.
Di pari passo è fondamentale l’intervento cognitivo volto a identificare e a modificare le interpretazioni catastrofiche associate alle situazioni temute.
Fonti
–www.stateofmind.it
-Carmelo La Mela “I protocolli cinici della terapia cognitivo-comportamentale”
Disturbo d’ansia generalizzato (DAG)
Il mio problema? È che sono sempre e costantemente preoccupata e in ansia. Ogni aspetto della mia vita mi crea preoccupazione…
Questa situazione sta minando la mia serenità e quella della mia famiglia”
Il disturbo d’ansia generalizzata si caratterizza per la presenza di ansia e preoccupazioni che risultano essere eccessive in termini di intensità, durata o frequenza rispetto ai dati di realtà.
L’ansia viene definita “generalizzata” perché non fa riferimento ad uno specifico tema ma riguarda una grande varietà di situazioni ed eventi di vita quotidiana temuti.
Le preoccupazioni, sproporzionate ed eccessive, sono accompagnate da almeno tre di questi sintomi elencati:
- Ci si sente tesi, con i “nervi a fior di pelle”
- Ci si stanca facilmente
- Si hanno difficoltà di concentrazione rispetto a ciò che si svolge o vuoti di memoria
- Si è facilmente irritabili
- Si prova una certa tensione muscolare, i muscoli sono tesi e a volte fanno male
- Il sonno è disturbato ovvero si può avere difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno oppure ci si sveglia poco riposati
Le preoccupazioni presentano le seguenti caratteristiche:
- tendono ad essere numerose (riguardano ad esempio il lavoro, la famiglia, la salute propria o dei propri cari, rapporti sociali, disgrazie);
- si presentano una dopo l’altra ovvero appena ne termina una ne segue subito un’altra;
- sono accompagnate da emozioni di allarme, inquietudine e di ansia;
- fanno riferimento ad eventi catastrofici futuri che hanno una bassa probabilità di accadere;
- riducono concretamente la possibilità di pensare in modo lucido;
- sono difficili da poter controllare;
Accade con molta frequenza che, solo nel momento in cui l’evento catastrofico immaginato non si presenta, la persona riconosce che la preoccupazione è eccessiva e sproporzionata.
Vi sono una serie di temi comuni che caratterizzano le preoccupazioni e questi riguardano:
- problemi che possono riguardare il futuro;
- perfezionismo e paura dell’insuccesso;
- paura di essere giudicato negativamente dagli altri.
L’elemento centrale che si osserva nel disturbo d’ansia generalizzata è che spesso queste persone sono preoccupate del fatto di preoccuparsi ovvero presentano delle specifiche convinzioni rispetto a queste preoccupazioni che si possono evidenziare con pensieri del tipo “queste preoccupazioni mi porteranno ad impazzire”, “non avrò mai il controllo su queste preoccupazioni”.
Il fatto quindi di “preoccuparsi delle preoccupazioni” dà vita a quello che è possibile definire come una sorta di circolo vizioso che non fa altro che aumentare i sintomi e compromettere il buon funzionamento della persona.
Accanto a questo aspetto, vi sono persone che ritengono invece che preoccuparsi sia positivo ed utile perché le aiuterà a trovarsi pronte e preparate nel momento in cui l’evento catastrofico si verificherà oppure ritengono che preoccuparsi riduca la possibilità che ciò che temono non si verifichi.
Nella realtà queste preoccupazioni vengono raramente confermate e sottoposte a verifica per cui la persona continua a preoccuparsi.
Da questo si innescano catene di pensieri negativi dette rimuginazioni che incrementano e mantengono le preoccupazioni e lo stato ansioso.
Per tentare di ridurre l’ansia e la preoccupazione la persona che soffre di questo disturbo mette in atto specifici comportamenti che possono essere efficaci nell’immediato, ma che a lungo termine non fanno altro che mantenere ed aggravare il problema:
- cercare di rassicurarsi oppure chiedere rassicurazioni alle altre persone: questo comportamento permette di ridurre l’ansia ma solo a breve termine in quanto quest’ultima si ripresenta e si ha bisogno di essere nuovamente rassicurati.
- essere perfezionisti: ad esempio controllare più volte un lavoro per assicurarsi di non aver fatto errori. È importante sottolineare che non ci prove tangibili che mettere in atto numerosi controlli sia utile e soprattutto è fondamentale ricordare che il meglio è nemico del buono!
- evitare le situazioni per paura di prova ansia: questo da un lato limita la possibilità di poter sperimentare situazioni piacevoli e dall’altro impedisce di comprendere che il pericolo non è reale.
- rinviare un attività per il timore di fallire, di vivere degli insuccessi.
Nella maggior parte dei casi, gli effetti temuti sono eccessivi e irrealistici.
- tentare di sopprimere le preoccupazioni: solitamente si produce l’effetto contrario (effetto rimbalzo) ovvero queste preoccupazioni si incrementano e ritornano con maggiore insistenza.
Il disturbo d’ansia generalizzato è abbastanza frequente. I dati ci dicono che l’età media di insorgenza è intorno ai 30 anni, tardiva rispetto agli altri disturbi d’ansia.
Colpisce prevalentemente il sesso femminile rispetto agli uomini (in un rapporto di 3:2).
Il disturbo tende a cronicizzare soprattutto in coloro che non chiedo un aiuto specialistico (si stima nel 50% dei casi).
Studi hanno evidenziato la presenza di una serie di fattori di rischio che se combinati assieme aumentano la probabilità di sviluppare il disturbo. Tra questi troviamo:
- Una modalità di pensiero intesa come la tendenza ad interpretare ciò che accade nel quotidiano come pericoloso. Ad esempio il ritardo del compagno dal lavoro viene interpretato e immaginato in modo catastrofico “ha avuto un incidente” senza prendere in considerazione altre ipotesi.
- L’effetto della personalità: spesso le persone con questo disturbo si descrivono come facili alle preoccupazioni, si ricordano di essere stati ansiosi fin da bambini e particolarmente emotivi. Un ruolo importante anche se non ancora chiaro sembra svolgerlo la genetica anche se essere predisposti geneticamente al disturbo non implica necessariamente svilupparlo. Sembra incidere inoltre la storia famigliare ed educativa ad esempio aver avuto genitori iperprotettivi e aver ricevuto un tipo di educazione che potrebbe aver alimentato e rinforzato le preoccupazioni, l’incertezza verso il futuro, l’aspettativa di un danno e la creazione di un immagine di persona fragile, sensibile, emotiva.
- L’esposizione a particolari fattori di stress come lutti, separazioni, problemi famigliari, un nuovo lavoro.
Studi hanno messo in luce che chi soffre di questo disturbo passa oltre la metà del tempo di veglia a preoccuparsi, nel quotidiano, di eventi che non si avvereranno mai.
Questo aspetto pone l’accento sul grado di sofferenza e il peggioramento della qualità di vita (es. sfera sociale, lavorativa) delle persone con disturbo d’ansia generalizzato.
Inoltre è importante sottolineare come la presenza di preoccupazioni eccessive può contribuire a ridurre i livelli di autostima personale portando ad una depressione secondaria così come è stata riscontrata un’alta presenza di abuso di farmaci e droghe.
Secondo le linee guida internazionali NICE (National Institute for Health and Clinical Excelence, 2011) la terapia cognitiva-comportamentale risulta essere il trattamento d’elezione nella cura del disturbo d’ansia generalizzato.
Le tecniche cognitivo-comportamentali d’intervento prevedono:
- psicoeducazione sulla natura e sulle caratteristiche del disturbo, sull’ansia e sulle preoccupazioni
- tecniche di rilassamento (es. rilassamento muscolare progressivo)
- ristrutturazione cognitiva delle credenze disfunzionali
- gestione delle preoccupazioni (rimuginio)
- metodo strutturato di risoluzione dei problemi
- tecniche di esposizione agli stimoli che creano ansia e preoccupazione.
Bibliografia
-Andreaws, Creamer, Crino, Hunt, Lampe, Page “Disturbo d’ansia generalizzata-Manuale per chi soffre del disturbo”
-Carmelo La Mela “I protocolli clinici della terapia cognitivo comportamentale”
–www.terzocentro.it
Ipocondria (ansia per le malattie e disturbi da sintomi somatici)
L’altro giorno ero in cucina stavo leggendo quando ad un certo punto ho sentito uno strano dolore al collo… non l’avevo mai provato… ho cominciato ad agitarmi e subito ho pensato “non sarà mica un nodulo?” Ho iniziato a toccarmi il collo per capire se c’era qualcosa… provavo sempre più dolore… allora mi è salita ancora di più l’ansia e ho pensato che poteva veramente essere qualcosa di grave!”
l nucleo centrale di questo disturbo è rappresentato dalla preoccupazione di avere o di stare sviluppando una malattia fisica grave, sulla base di un errata interpretazione dei sintomi o segni di natura fisica sebbene gli esami medici approfonditi e le rassicurazioni da parte del personale sanitario non sostengono tale timore.
I sintomi del disturbo si riferiscono a specifiche preoccupazioni legate a:
- Funzioni corporee (es. battito cardiaco, respirazione)
- Alterazioni fisiche (es. piccole ferite o mal di gola)
- Sensazioni fisiche vaghe o confuse (es. “cuore affaticato”, “vene doloranti”)
- Specifica malattia (es. tumore) o funzionamento di un organo
Secondo il modello di comprensione del disturbo, lo sviluppo della modalità a interpretare in modo errato le sensazioni provenienti dal corpo come presenza di una grave malattia deriva dall’esposizione a particolari esperienze di vita ad esempio una malattia vissuta dal paziente stesso o da persone a lui vicine, la morte di un parente o una cattiva gestione medica.
Queste esperienze critiche portano alla formazione di convinzioni disfunzionali ovvero pensieri errati rispetto al tema della salute e in generale della professione medica (ad esempio “Ogni modificazione o sensazione corporea che non mi aspetto è sempre il segno di una grave malattia” o “Se non vai dal medico appena noti qualcosa di strano, poi sarà troppo tardi”).
Quando si verifica un particolare evento critico precipitante (es. la morte di una persona cara, l’insorgenza di sintomi fisici fino a qual momento ignorati) si attivano le convinzioni disfunzionali che portano ad interpretare i sintomi percepiti come il segno tangibile che si sta sviluppando o è già presente una grave malattia, sotto forma di pensieri negativi e vivide immagini di parti del proprio corpo che non funzionano o che funzionano male (es. polmoni che non si riempiono del tutto d’aria, tumore che devasta il corpo).
Come conseguenza si innescano una serie di meccanismi di tipo cognitivo, emotivo e comportamentale che la persona utilizza al fine di avere un controllo sul proprio stato di salute ma che in realtà aggravano e mantengono il disturbo.
- Fattori cognitivi. Tra questi troviamo:
- L’attenzione selettiva: si osserva un aumento dell’attenzione verso parti o aspetti del corpo ritenute il segno della malattia. Viene prestata attenzione a:
1. processi interni al corpo (es. ritmo cardiaco, attività gastro intestinale, deglutizione, respirazione);
2. processi esterni al corpo (es. asimmetria del corpo, macchie/irregolarità della pelle, perdita o crescita dei capelli, grandezza delle pupille);
3. secrezioni del corpo (es. colore della saliva, presenza di sangue nelle feci ed urine). Prestare attenzione a questi fenomeni porta a diventare consapevoli di sensazioni fino a quel momento ignorate che in realtà sono presenti normalmente e l’intensità della sensazione tende ad aumentare quando vi si presta attenzione.
- Rimuginazioni: possono essere descritte come catene ripetitive di pensieri negativi (es. Perché è capitato a me? A che cosa porterà? E se succedesse che?) utilizzate come “strategia” al fine di individuare precocemente i segni della malattia. In realtà queste catene di pensieri sono inutili e mantengono il disturbo in quanto ci portano a fare sempre gli stessi ragionamenti, si focalizzano sul perché certe cose accadono e non sul cosa fare per risolvere il problema.
- Fattori emotivi: l’emozione principale che accompagna le preoccupazioni è l’ansia.
I sintomi ansiosi anche in questo caso vengono interpretati in modo errato ad esempio la persona interpreta la tachicardia legata all’ansia come sintomo di un infarto.
-
Fattori comportamentali. Questi si suddividono in:
-
Controlli del corpo: ad esempio autoesame per verificare la presenza di sangue nel retto o per analizzare la presenza di noduli al seno o ai testicoli, respirazione profonda per controllare la funzione polmonare, eseguire forzate deglutizioni per riscontrare la presenza di anomalie alla gola.
Tutti questi controlli creano irritazioni o lievi lesioni ai tessuti corporei e alterano l’andamento delle normali funzioni fisiche (respiro, battito cardiaco); il conseguente dolore che ne deriva viene però interpretato dalla persona come l’indice della presenza di malattia.
-
Evitamenti: ad esempio non svolgere attività fisica o fare sforzi fisici, evitare di vedere programmi tv relativi a malattie, tentare di controllare i pensieri o distrarsi. Impediscono alla persona di vivere esperienze che portano a capire che i sintomi sono innocui.
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Comportamenti protettivi o di prevenzione: ad esempio la persona mette in atto un riposo protratto nel corso del tempo oppure assume farmaci o vitamine non prescritte. Questi comportamenti mantengono vivo il disagio relativo al tema della salute fisica e delle credenza secondo cui “sono una persona debole, ho bisogno di cure per non ammalarmi”.
-
Ricerca di rassicurazioni: la persona richiede al partner o ad altri famigliari informazioni riguardo ad uno specifico sintomo, ricorre a consultazioni mediche e richiede ulteriori esami di approfondimento, lettura/studio di articoli o libri di medicina, ricerche di informazioni su internet. La ricerca continua di informazioni porta spesso la persona a confrontarsi con fonti non coerenti e di dubbia provenienza che ha come esito quello di andare a rinforzare i pensieri negativi, di sfiducia nei confronti del personale medico.
Risulta difficile avere una chiara stima di quante persone soffrono del disturbo in quanto non viene riconosciuta la causa psicologica.
I dati a disposizione indicano che tra i pazienti che si rivolgono al medico lamentando sintomi fisici che non trovano riscontro obiettivo si attestano tra il 30-80%. Nei contesti di medici generale la sua prevalenza oscilla tra 0,8-8,3%.
L’età d’esordio è tra i 20 e i 30 anni. Colpisce in uguale misura uomini e donne. Se non trattato il disturbo diviene cronico per il 60% dei pazienti accompagnato da episodi acuti che possono durare anche mesi o anni (Creede, Barsky 2004).
- Fattori genetici: in alcune famiglie questo disturbo è più frequente, soprattutto tra i famigliari di primo grado. Ciò che si eredita non è il disturbo ma la vulnerabilità allo sviluppo.
- Fattori biologici: si osserva una modificazione di alcuni neurotrasmettitori (sostanze chimiche che regolano la trasmissione degli impulsi nervosi nel cervello) come serotonina e noradrenalina che possono determinare una maggiore sensibilità a certi stimoli potenzialmente ansiogeni.
- Fattori educativi/ambiente famigliare: ci si riferisce a modalità educative genitoriali di iper protezione o messaggi espliciti che possono aver contribuito alla creazione di un immagine di persona debole, fragile, vulnerabile alle malattie (questa è la tipica descrizione che riportano i pazienti ipocondriaci).
- Fattori psicosociali: aver vissuto esperienze di gravi malattie o la morte di una persona cara, sia nell’infanzia che in età adulta, possono portare alla formazione di credenze disfunzionali riguardo il tema della salute e del benessere che se incrociate con particolari eventi critici innescano il disturbo.
Ciò che si delinea è una grave compromissione della qualità di vita della persona in termini di funzionamento sociale, famigliare, lavorativo e da un punto di vista anche economico/finanziario.
I rapporti sociali si deteriorano a causa delle loro continue preoccupazioni e può accadere che si aspettino dagli altri di essere trattati in modo speciale a causa della propria condizione di malattia. Sul piano più strettamente psicologico il disturbo rafforza e mantiene l’immagine di persona debole, fragile e vulnerabile alle patologie.
Anche i rapporti famigliari subiscono delle gravi conseguenze a causa delle continue richieste di rassicurazioni che producono un sollievo solo momentaneo. Le numerose preoccupazioni interferiscono inoltre con la prestazione lavorativa e si associano ad un aumento delle assenze dal lavoro. Infine, non meno importante, il paziente paga importanti costi da un punto di vista economico a causa delle continue richieste di visite mediche specialistiche a cui si sottopone.
Il trattamento cognitivo comportamentale si è dimostrato molto efficace nella cura del disturbo.
La terapia prevede una serie di fasi:
- Condivisone del modello di comprensione e spiegazione del disturbo e psicoeducazione rispetto agli elementi che caratterizzano la patologia;
- Identificazione e messa in discussione delle credenze disfunzionali;
- Interruzione dei circoli viziosi attraverso tecniche comportamentali;
- Prevenzione delle ricadute e fattori di vulnerabilità;
Bibliografia
Leveni, Lussetti, Piacentini“Ipocondria, ansia per le malattie e disturbo da sintomi somatici”
Adrian Wells “Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia”
Carmelo La mela “I protocolli clinici della terapia cognitivo-comportamentale”
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Fobia Specifica
La fobia specifica può essere descritta come una paura persistente, marcata, irragionevole verso specifici stimoli o situazioni circoscritte e chiaramente identificabili.
Lo stimolo fobico provoca un emozione di paura e di ansia talmente intensi che risultano essere sproporzionati rispetto al reale pericolo legato all’oggetto o situazione fobica.
Esistono tipologie diverse di fobie specifiche: si va dalle più comuni come le altezze, aghi, ragni alle più particolari come ad esempio fobie per specifici alimenti, tonalità di colore, rumori forti.
È possibile classificare le fobie in 5 diversi sottotipi:
- Tipo animale (es. ragni, insetti, cani, gatti, topi…)
- Tipo situazione. La paura è prodotta da una situazione specifica (es. aerei, ascensori, ponti, mezzi pubblici) o luoghi chiusi.
- Tipo sangue-iniezioni-ferite (es. aghi, sangue, siringhe, procedure mediche invasive)
- Tipo ambiente naturale (es. altezze, temporali, buio, acqua)
- Altro tipo (es. la paura di situazioni che possono portare a vomitare/soffocare; nei bambini la paura di rumori forti o dei personaggi in maschera)
I sintomi fisici più comunemente sperimentati sono:
- tachicardia
- sudorazioni
- vertigini
- disturbi gastrici e urinari
- nausea
- mancanza d’aria
- tremori
I sintomi fisici normalmente si generano quando la persona si trova di fronte allo stimolo o situazione fobica o anche al solo pensiero di doverlo affrontare.
Si assiste ad una progressiva riduzione della sintomatologia quando la persona si allontana, evita o si trova all’interno di un ambiente che considera sicuro.
Al contrario, nelle fobie legate alla paura delle iniezioni, aghi e nella vista del sangue si osserva una risposta fisica completamente opposta ad esempio un forte calo della pressione sanguigna e un rallentamento del battito cardiaco fino ad arrivare ad un vero e proprio svenimento.
Comunemente di osserva la messa in atto di comportamenti di evitamento rispetto allo stimolo fobico che a breve termine permettono di ridurre lo stato di ansia e paura ma a lungo termine innescano un vero e proprio circolo vizioso che mantiene il disturbo.
Le persone con fobia sociale riconoscono che le loro paure sono eccessive ed irrazionali.
La fobia specifica può svilupparsi in diversi modi:
- in seguito ad un evento traumatico vissuto in prima persona (es. rimanere bloccati in un ascensore). Durante l’evento accade che si instauri un’associazione tra lo stimolo specifico che ha prodotto la paura e la sensazione di malessere vissuta;
- dopo aver anche solo osservato un evento traumatico senza essere coinvolti direttamente (es. vedere qualcuno che annega). In questo caso la persona che osserva può pensare che lo stimolo/situazione che ha prodotto lo stato di paura in un altro può farlo anche a lui;
- in seguito ad un attacco di panico inaspettato che si verifica in quella che diventerà la situazione temuta (es attacco di panico in treno);
- in seguito all’acquisizione di specifiche informazioni su determinati argomenti (es. informazione date dai mass media in seguito ad un incidente aereo). La persona si preoccupa, pensa e ripensa alle informazioni apprese e se sviluppa uno stato d’ansia intenso si può produrre una fobia specifica anche solo nella condizione di “sentito dire”.
L’età media d’ esordio è tra i 7 e gli 11 anni con una media che si attesta ai 10 anni. Non sempre la persona ricorda l’evento che ha prodotto la fobia. Se non trattato il disturbo tende a cronicizzare. È doppiamente più diffuso nelle donne rispetto agli uomini.
Come per altri disturbi è possibile parlare di una serie di fattori di rischio che concorrono a determinare la vulnerabilità al disturbo tra questi troviamo ad esempio aver sperimentato eventi traumatici con l’oggetto o situazione fobica; esperienze di separazioni o lutto di un genitore così come esperienze di abusi fisici e sessuali vissuti durante l’infanzia; uno stile educativo caratterizzato da una modalità iperprotettiva; vi è inoltre una certa suscettibilità genetica ovvero i figli di genitori che hanno una fobia specifica hanno significativamente più probabilità di sviluppare la stessa fobia.
Si osserva una progressiva compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre importanti aree di vita (es. pazienti che hanno una fobia per sangue-iniezioni-ferite spesso evitano di chiedere consulti medici anche in presenza di una patologia).
La terapia cognitivo comportamentale costituisce l’intervento terapeutico più efficace nel trattamento di questo disturbo. Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che il 75% dei pazienti superano le proprie fobie attraverso la terapia cognitivo-comportamentale.
Il nucleo centrale dell’intervento si basa sulla tecnica di esposizione.
Essa consiste nell’esporsi gradualmente, in modo controllato e sistematico allo stimolo/situazione fobica temuta.
Paziente e terapeuta costruiscono assieme una gerarchia di stimoli ansiogeni (circa 10-12) classificandoli dai meno ai più temuti.
Ad esempio la persona con fobia specifica per i cani comincia ad esporsi a partire da una fotografia, per poi passare a dei video fino ad arrivare ad avvicinarsi fisicamente allo stimolo. Ovviamente il tutto avviene in modo graduale e controllato e non si passa allo stimolo successivo se il paziente, verso quello precedente, prova ancora ansia e paura.